martedì 20 novembre 2012

Ganesha - Colui che ha scoperto la Divinità in sé stesso

Presso la religione induista, Ganesha è una delle rappresentazioni di Dio più conosciute e venerate. Figlio primogenito di Shiva e Parvati, viene raffigurato con una testa di elefante provvista di una sola zanna, ventre pronunciato e quattro braccia, mentre cavalca o viene servito da un topo, suo veicolo. Spesso è rappresentato seduto, con una gamba sollevata da terra e ripiegata sull'altra. 
Il suo nome è formato dalle parole sanscrite gana e isha (signore), Ganesha significa letteralmente "Signore dei gana" dove gana può essere interpretato come "moltitudine", facendo assumere al nome il significato di "Signore di tutti gli esseri”. Ganesha viene a volte chiamato anche Vighnesvara, "Signore degli ostacoli" o Vinayaka, "colui che rimuove". 

Come per tutte le altre Murti (aspetti di Dio) induiste, anche Ganesha è invocato attraverso innumerevoli appellativi che si riferiscono ai suoi attributi e caratteristiche. Ad esempio Ganesha è anche definito Omkara o Aumkara, ovvero "avente la forma della Om (o Aum)". Infatti, la forma del suo corpo ricalca il contorno della lettera sanscrita che indica il celeberrimo Bija Mantra; per questo Ganesha è considerato l'incarnazione del Cosmo intero, Colui che sta alla base di tutto ciò che è manifesto.

Come per ogni altra forma con la quale l'Induismo rappresenta Dio anche la figura di Ganesha è un archetipo carico di molteplici significati e simbolismi che esprimono uno stato di perfezione e il modo per raggiungerla; Ganesha è infatti il simbolo di colui che ha scoperto la Divinità in sé stesso.
Egli rappresenta il perfetto equilibrio tra energia maschile (Shiva) e femminile (Shakti), ovvero tra forza e dolcezza, tra potenza e bellezza; simboleggia inoltre la capacità discriminativa che permette di distinguere la verità dall'illusione, il reale dall'irreale.

In termini generali, Ganesha è una divinità molto amata ed invocata poiché è il Signore del buon auspicio che dona prosperità e fortuna, il Distruttore degli ostacoli di ordine materiale o spirituale; per questa ragione se ne invoca la grazia prima di iniziare una qualunque attività come ad esempio un viaggio, un esame, un colloquio di lavoro, un affare, una cerimonia, o un qualsiasi evento importante. 
Per questo motivo è tradizione che tutte le sessioni di bhajan (canti devozionali) comincino con una invocazione a Ganesha, Signore del "buon inizio" dei canti.

E' associato con il primo chakra, che rappresenta l'istinto di conservazione e sopravvivenza, la procreazione ed il benessere materiale. Ogni elemento del corpo di Ganesha ha una sua valenza ed un suo proprio significato: 

  • la testa d'elefante indica fedeltà, intelligenza e potere discriminante;il fatto che abbia una sola zanna (e l'altra spezzata) indica la capacità di superare ogni dualismo;

  • le larghe orecchie denotano saggezza, capacità di ascolto e di riflessione sulle verità spirituali;
  • la proboscide ricurva sta ad indicare le potenzialità intellettive, che si manifestano nella facoltà di discriminazione tra reale ed irreale;
  • sulla fronte ha raffigurato il Tridente (simbolo di Shiva), che simboleggia il Tempo (passato, presente e futuro) e ne attribuisce a Ganesha la padronanza;
  • il ventre obeso è tale poiché contiene infiniti universi, rappresenta inoltre l'equanimità, la capacità di assimilare qualsiasi esperienza con sereno distacco, senza scomporsi minimamente;
  • la gamba che poggia a terra e quella sollevata indicano l'atteggiamento che si dovrebbe assumere partecipando alla realtà materiale e a quella spirituale, ovvero la capacità di vivere nel mondo senza essere del mondo;
  • le quattro braccia di Ganesha rappresentano i quattro attributi interiori del corpo sottile, ovvero: mente, intelletto, ego, coscienza condizionata;

  • in una mano brandisce un'ascia, simbolo della recisione di tutti i desideri, apportatori di sofferenza;
  • nella seconda mano stringe un lazo, simbolo della forza che lega il devoto all'eterna beatitudine del Sé;
  • la terza mano, rivolta al devoto, è in un atto di benedizione;
  • la quarta mano tiene un fiore di loto (padma), che simboleggia la più alta meta dell'evoluzione umana.
Sono molto interessanti anche e varie leggende che spiegano le diverse rappresentazioni o gesta di Ganesha, ad esempio:

La cavalcatura di Ganesha è un piccolo topo che rappresenta l'ego, la mente con tutti i suoi desideri, la bramosia dell'individuo. Ganesha, cavalcando il topo, diviene padrone (e non schiavo) di queste tendenze, indicando il potere che l'intelletto e la discriminazione hanno sulla mente. Inoltre il topo (per natura estremamente vorace), viene spesso raffigurato a fianco di un piatto di dolci, con lo sguardo rivolto a Ganesha mentre tiene un boccone stretto tra le zampe, come in attesa di un suo ordine; rappresenta la mente che è stata completamente assoggettata alla facoltà superiore dell'intelletto, la mente sottoposta ad un ferreo controllo, che fissa Ganesha e non si accosta al cibo se non ne riceve il permesso. Un altro significato riguarda l'astuzia del topo che accompagnata alla saggezza dell'elefante fa compiere grandi imprese e, inoltre, tanto l'elefante quanto il topo, passano dappertutto, quasi senza incontrare ostacoli: uno per via della sua mole e l'altro, per la sua minutezza. Ganesha, infatti, è colui che aiuta a superare gli ostacoli e viene venerato prima di iniziare qualsiasi impresa.

È interessante notare come, secondo la tradizione, Ganesha sia stato generato dalla Madre Parvati senza l'intervento del marito Shiva; infatti egli, essendo eterno (Sadashiva), non sentiva alcuna necessità di avere figli. Così Ganesha nacque dall'esclusivo desiderio femminile di Parvati di creare. Di conseguenza, la relazione di Ganesha con la propria madre è unica e speciale.
Si narra che una volta, da bambino, il piccolo Ganesha stava giocando con un gatto e inavvertitamente lo ferì. Quando tornò a casa, trovò la madre Parvati dolorante e ferita.
Le chiese come si fosse fatta male ed ella rispose che la responsabilità non era di altri se non dello stesso Ganesha. Sorpreso egli le domandò quando questo fosse successo. Parvati spiegò che, in quanto "Energia Divina" (o Shakti), Lei è immanente in tutti gli esseri; quando Ganesha ferì il gatto, anche Parvati fu ferita. Ganesha realizzò che tutte le donne erano unicamente manifestazioni di sua Madre, e decise di non sposarsi. Fu così che rimase "celibe a vita"; ma d'altronde, non avendo desideri, Ganesha non sentiva alcuna necessità di avere delle mogli o dei figli.
Nell'India del nord, invece, Ganesha è spesso raffigurato sposato alle due figlie di Brahma: Buddhi (intelletto) e Siddhi (potere spirituale). In altre raffigurazioni le sue consorti sono: Sarasvathi (dea della cultura e dell'arte) e Lakshmi (dea della fortuna e della prosperità), a simboleggiare che queste qualità accompagnano sempre colui che ha scoperto la propria Divinità interiore.

L'articolata mitologia induista presenta anche tante storie che spiegano in che modo Ganesha ottenne una testa di elefante. 
Quella più conosciuta è probabilmente quella che narra di Parvati che volle fare un bagno nell'olio, per cui creò un ragazzo dalla farina di grano di cui si era cosparsa il corpo e gli chiese di fare la guardia davanti alla porta di casa, raccomandando di non far entrare in casa nessuno. In quel frangente Shiva tornò a casa e, trovando sulla porta uno sconosciuto che gli impediva di entrare, si arrabbiò e lo decapitò con il suo tridente. Parvati ne fu molto addolorata e Shiva, per consolarla, inviò le proprie schiere celesti (Gana) a trovare e prendere la testa di qualsiasi creatura avessero trovata addormentata con il capo rivolto a nord. Essi trovarono un elefante che dormiva in tal modo e ne presero la testa; Shiva la attaccò al corpo del ragazzo, lo resuscitò e lo chiamò Ganapathi, o “capo delle schiere celesti”, concedendogli che chiunque lo adorasse prima di iniziare qualsiasi attività. Un'altra leggenda narra di un demone dalle sembianze di elefante chiamato Gajasura, il quale eseguì una penitenza e Shiva, soddisfatto di questa austerità, decise di concedergli in dono qualsiasi cosa desiderasse. Il demone voleva che dal suo corpo si emanasse continuamente del fuoco, in modo che nessuno osasse avvicinarlo; il Signore glielo concesse. Gajasura proseguì la sua penitenza e Shiva, che gli appariva davanti di tanto in tanto, gli chiese nuovamente che cosa desiderasse; il demone rispose: "Io desidero che Tu risieda nel mio stomaco".
Shiva esaudì la richiesta e vi prese dimora. Infatti, Shiva è anche conosciuto come Bhola Shankara, poiché è una divinità facile da propiziare; quando è soddisfatto di un devoto gli concede qualunque cosa chieda, e questo a volte genera situazioni particolarmente intricate. 
Fu così che Parvati, sua moglie, lo cercò ovunque senza risultato; come ultima risorsa si recò dal proprio fratello Viṣṇu, chiedendogli di trovare suo marito. Allora Viṣṇu, l'onnisciente regista del gioco cosmico, inscenò una piccola commedia: tramutò Nandi (il toro di Shiva) in un toro danzatore e lo condusse al cospetto del demone, assumendo nel contempo le sembianze di un suonatore di flauto. L'incantevole esecuzione del toro lo mandò in estasi ed egli chiese al suonatore di flauto di esprimere un desiderio; il Viṣṇu musicante allora gli chiese di liberare Shiva dal suo stomaco ed il demone capì allora come questi non fosse altri che Viṣṇu stesso, l'unico che potesse conoscere quel segreto, così si gettò ai suoi piedi e, liberato Shiva, gli chiese un ultimo dono: "Io sono stato benedetto da Te con molti doni; la mia ultima richiesta è che tutti mi ricordino adorando la mia testa quando sarò morto". Shiva condusse allora lì il proprio figlio, la cui testa venne sostituita con quella di Gajasura. Da allora, in India è viva la tradizione per cui qualunque iniziativa, per essere prospera, deve cominciare con l'adorazione di Ganesha; questo è il risultato del dono di Shiva a Gajasura.

Un’altra storia poco celebre riguardante le origini di Ganesha narra di Shiva che chiese a Parvati, la quale desiderava avere un figlio, di compiere un particolare sacrificio per un anno, in modo da appagare Viṣṇu.
Dopo il completamento del sacrificio, il Signore Krishna promise a Parvati di incarnarsi come suo figlio, all'inizio di ogni kalpa o era cosmica. Così Krishna nacque come un bellissimo bambino, con grande gioia di Parvati che volle celebrare la miracolosa nascita. Tutti gli dèi e le dee si riunirono per gioire della nascita. Shani, figlio di Surya (il deva del Sole), era presente ma si rifiutò di guardare il neonato; disturbata dal suo comportamento, Parvati gliene chiese la ragione, e Shani rispose che se avesse guardato il bambino lo avrebbe ferito. In seguito all'insistenza di Parvati, Shani volse lo sguardo e, non appena i suoi occhi si posarono sul neonato, la sua testa fu tagliata all'istante. Tutte le divinità presenti si disperarono, per cui Viṣṇu si precipitò sulle rive di un fiume e tornò con la testa di un giovane elefante e la unì al corpo del bambino infondendogli nuova vita. Viṣṇu benedì il bambino, promettendogli che egli sarebbe stato adorato prima di qualunque altra deità, e che sarebbe stato il migliore tra gli yogi; allo stesso modo Shiva lo pose a capo delle sue truppe e lo benedì, affermando che qualsiasi ostacolo, di qualsiasi entità, sarebbe stato superato pregando Ganesha.

Per quanto riguarda la festività in onore di Ganesha (Ganesha Chaturthi) è uso non volgere lo sguardo alla Luna in quella notte. Ciò deriva da una leggenda che racconta di un giorno in cui Ganesha, dopo aver ricevuto da moltissimi adoratori una gran quantità di dolci (Modak), per digerire meglio quell'impressionante mole di cibo, decise di fare una passeggiata; salì sul topo che utilizza come veicolo e partì. Era una notte magnifica e la Luna splendeva. All'improvviso spuntò un serpente che spaventò a morte il topo, il quale sussultando fece cadere il suo cavaliere. Il grosso stomaco di Ganesha venne schiacciato e, troppo pieno, scoppiò; tutti i dolci che aveva mangiato si sparsero attorno a lui. Tuttavia, egli era troppo intelligente per prendersela a causa di questo incidente, per cui senza perdere tempo in inutili lamentele, si preoccupò soltanto di risolvere al meglio la situazione: prese il serpente che aveva causato l'incidente e lo utilizzò come cintura per tenere chiuso il suo addome e bendare la ferita; soddisfatto, salì nuovamente sul topo e riprese il suo giro. Chandra, il deva della Luna, nel vedere la buffa scena scoppiò a ridere e si prese gioco di Ganesha; questi allora ritenne giusto punire il deva per la sua arroganza, quindi si spezzò una zanna e la lanciò contro la Luna spaccandone a metà il viso luminoso. Egli la maledisse, decretando che chiunque l'avesse guardata sarebbe stato perseguitato dalla sfortuna. Chandra, rendendosi conto del proprio errore, chiese perdono e pregò Ganesha di ritirare la maledizione; ma una maledizione non può essere revocata, soltanto attenuata, così Ganesha condannò la Luna a crescere e calare in intensità secondo cicli di 15 giorni e stabilì che chiunque l'avesse guardata durante la sua festività (Ganesha Chaturthi) sarebbe stato colpito dalla sfortuna. Così, in certi momenti la luce della Luna si sarebbe spenta, per poi ricominciare poco a poco ad apparire; ma la sua faccia sarebbe rimasta intera soltanto per un brevissimo periodo di tempo, perché poi si sarebbe nuovamente "spaccata" fino a scomparire.
Negli ultimi anni si è verificata una rinascita del culto di Ganesha e si è sviluppato un interesse sempre crescente verso questa divinità nel mondo occidentale. Ciò in seguito ad una "inondazione" di presunti miracoli: secondo la rivista Hinduism Today il 21 settembre 1995 le statue di Ganesha in India avrebbero cominciato spontaneamente a bere latte, ovvero ogni volta che un cucchiaio veniva posto davanti alla bocca di ogni statua per onorare il Dio-elefante. La stessa cosa si verificò in diversi altri Paesi sparsi per il mondo. Questi avvenimenti furono considerati miracolosi da molte persone, e vennero interpretati come un ricordo della giocosità di Ganesha, del suo amore per i giochi e gli scherzi.

Un abbraccio
Tiz

 
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