venerdì 13 luglio 2012

L'albero dello Yoga




Da qualche giorno sto leggendo un libro molto bello che si intitola appunto "l'albero dello yoga" di B.K.S. Iyengar. Qui di seguito ne riporto un pezzo che mi è piaciuto molto. E' un capitolo in cui si fa riferimento agli otto passi dell'Ashtanga (Yama, Niyama, Asana, Pranayama, Prathyara, Dharana, Dhyana, Samadhi).
Yama e Niyama sono osservanze e precetti di comportamento,poi ci sono le posture (asana) e il controllo del respiro (pranayama), il ritiro dei sensi (prathyahara), la concentrazione (dharana), la meditazione (dhyana) e l'estasi (Samadhi)

"...Per coltivare una pianta di deve prima vangare la terra , rimuovere i sassi e le erbacce e ammorbidire il terreno. Si pianta poi il seme e lo si copre accuratamente con terra soffice in modo che quando si schiuderà non venga danneggiato dal peso, quindi si annaffia, dopodichè si attende  che germogli e cresca. Dopo uno o due giorni, dal seme spunta uno stelo che poi si dividerà in due e produrrà foglie. La pianta continua così a crescere fino ad avere un tronco che a sua volta genererà rami con molte foglie che si orienteranno in varie direzioni.
Allo stesso mondo si deve accudire l'albero dell'anima. I saggi del passato, che avevano goduto della possibilità di vedere l'anima, ne trovarono  il seme nello yoga. Questo seme ha otto segmenti che durante la crescita dell'albero generano gli otto rami dello yoga.
La radice dell'albero si chiama yama, che comprende i cinque principi di ahimsa (non-violenza), satya (sincerità), asteya (liberazione dall'avidità), brahmacharia (controllo della brama sessuale) e aparigraha (liberazione dal desiderio di possedere al di là delle proprie necessità). L'osservanza di yama disciplina i cinque organi dell'azione che sono le braccia, le  gambe, la bocca, gli organi proreativi e gli organi escretori. Ovviamente gli organi dell'azione controllano gli organi percettivi e la mente; se si vuole fare del male ma gli organi dell'azione si rifiutano di farlo il male non verrà fatto. Per questo gli yogi iniziano con il controllo degli organi dell'azione; yama è quindi la radice dell'albero dello yoga.
Poi viene il tronco, che si paragona ai principi del niyama, che sono saucha(pulizia), santosa (appagamento), tapas (ardore), svadhyaya (studio di se stessi) e Isvara-pranidhana (abbandono). Questi cinque principi di niyama controllano gli organi di percezione: gli occhi, le orecchie, il naso, le labbra e la pelle.
Dal tronco dell'albero si dipartono diversi rami. Uno cresce molto lungo, uno di lato, uno va a zig-zag, un altro cresce dritto e così via. Questi rami sono gli asana, ovvero le varie posture che fanno si che le funzioni fisiche e psicologiche del corpo siano in armonia con il modello psicologico della disciplina yoga.
Dai rami crescono le foglie la cui interazione con l'aria fornisce energia a tutto l'albero. Le foglie che convogliano dentro l'aria esterna e la portano a contatto con le parti più interne dell'albero, corrispondono al pranayama, la scienza del respiro, che unisce il macrocosmo al microcosmo e viceversa. Avrete notato come i nostri polmoni visti al contrario diano l'immagine di un albero. Attraverso il pranayama, il sistema respoiratorio e quello circolatorio reggiungono uno stato di armonia.
La pradronanza degli asana e del pranayama aiuta il praticante a distaccare la mente dal corpo e ciò porta automaticamente verso la concentrazione e la meditazione. L'albero, se non avesse la  corteccia, sarebbe divorato dai vermi; il suo rivestimento protegge la linfa che fluisce all'interno tra le foglie e la radice. La corteccia corrisponde quindi al prathyahara, che consiste nello spostamento verso l'interno dei sensi dalla pelle al profondo dell'essere.
Dharana è come la linfa dell'albero, il succo che porta l'energia in questo viaggio spirituale. Dharana è concentrazione, che focalizza l'attenzione al centro dell'essere umano.
Il fluido dell'albero o linfa unisce l'estremità della foglia all'estremità della radice. Il raggiungimento di questa unione dell'essere dall'esterno all'interno, dove colui che osserva e colui che è osservato sono un tutt'uno, si ottiene la meditazione. Quando l'albero è sano e c'è molta energia, allora sbocciano i fiori. Quindi Dhyana, la meditazione, è il fiore dell'albero dello yoga.
Alla fine, quando il fiore si trasforma in frutto, questo si chiama samadhi. Come l'essenza dell'albero si trova nel frutto così l'essenza della pratica dello yoga è riposta nella libertà, l'equilibrio, l'armonia e la beatitudine del samadhi, dove il corpo, la mente e l'anima sono un tutt'uno armonico e si fondono con lo Spirito Universale..."

(Katia)

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